lunedì 10 dicembre 2012

Vale al pena di tentare, alziamo lo sguardo



Forse è troppo tardi ma vale la pena di tentare.  Il mondo cattolico in non è capace di testimonianza, o meglio, spesso è più portato a seguire il proprio tornaconto come tutti che i propri pastori. Il Card. Bagnasco ha detto ieri o meglio ha ridetto: "Il cristianesimo sa di essere esperienza non di regresso, ma propulsiva, una forza di moderazione e di continuo rinnovamento, capace di proporre modelli di vita in cui l'esasperazione del consumismo e del liberalismo è superata in vista di uno sviluppo più solidale ed equilibrato. Ne consegue una visione più rispettosa della dignità della persona, in tutti i suoi valori fondamentali che costituiscono il patrimonio del nostro Paese. Sono convinto che, come in una famiglia, le difficoltà possano sprigionare energie nuove così da superare prove ed errori e aprire una stagione migliore per l'Italia".
E' inutile farsi tante domande e cercare tante risposte secondo una nostra misura che guarda solamente al momentaneo proprio interesse, non solo quello personale, ma anche quello di casta, di partito, di categoria. E' ora di farsi un esame di coscienza. Noi cattolici cosa abbiamo di più caro per il bene del nostro paese? Cosa abbiamo da difendere per il bene del nostro paese? Cosa possiamo fare per far rinascere un popolo assopito e umiliato. Un popolo asservito ora alla destra ora alla sinistra. Dobbiamo riprendere in mano il destino del nostro paese come i padri della politica hanno fatto anche se con sfumature diverse, Dossetti, Sturzo, De Gasperi, La Pira, Moro e altri. E' ora che i cattolici che  negli ultimi 20 anni sono stati a  sinistra o a destra ripensino alla possibilità di recuperare una unità per il bene di questo paese.  Non facciamo i fanalini di coda di schieramenti che ormai neanche più nelle parole sono attenti a ciò a cui teniamo per il nostro popolo. Ormai nessuno più dei contendenti risponde positivamente a questa fiondamentali domande che ci siamo illusi di far condividere negli schiramenti di cui abbiamo fatto parte negli ultimi anni con l'illisione di poter incidere sulle scelte politiche.

Chi è per  il sostegno alla famiglia e il quoziente famigliare?
Chi è per la difesa della vita dal suo concepimento? 
Chi è per la vera libertà di educazione?
Chi è per la difesa della nostra cultura cristiana? 
Chi è per la difesa del no profit sociale?
Chi è per la sussidiarietà? 

Vale la pena di tentare e battersi per queste cose ad avere uno sguardo più alto.

martedì 20 novembre 2012

Il tempo si fa breve


"Il tempo si fa breve", può sembrare fuori luogo questa citazione quando si affrontano temi mondani come quelli politici ma, l'urgenza di una "decisione personale" su quanto accade intorno a noi, a distanze diverse, è ormai inevitabile. Possiamo fare un lungo e quasi infinito elenco sugli accadimenti che ci devono interrogare personalmente per un giudizio che parta dalla realtà, dall’umano che essa esprime nella sua essenziale ragione antropologica originale, non da qualcosa d’altro. Qualcosa d’altro identificabile in altrettanti innumerevoli atteggiamenti: interesse, tornaconto, pregiudizio, ideologia, disinteresse, qualunquismo, rabbia, dolore, fatica, odio, servilismo, paura, coraggio, vigliaccheria, egoismo, ......... potremmo andare avanti all'infinito. Mi domando di fronte ai fatti, alla realtà: in che misura siamo interessati ad approfondirla e a giudicarla tenendo conto di "tutti i fattori"? Questo vale per tutto ciò che accade partendo dalla prossimità della nostra casa, fino al nostro quartiere, dal nostro ambiente di lavoro, dal nostro partito, dalla nostra città, fino ai fatti del mondo. A tutto ciò che ci passa davanti e di fronte al quale ci poniamo solo la domanda: ma mi riguarda? Quante volte ci sono passate davanti cose che sembrava non ci riguardassero in quanto lontane e poi hanno inciso pesantemente nella nostra quotidianità. Di fronte ai nostri figli che faticano a trovare la loro strada quale è il nostro atteggiamento, quanta pretesa c'è, quanta prevaricazione c'è e quanta attenzione rispetto al loro destino abbiamo? Un'attenzione che tenga conto di loro nella complessità della loro vita e delle loro aspirazioni e fatiche? Quando discutiamo con i nostri vicini quanto del nostro pregiudizio mettiamo in campo, a discapito di una valutazione della realtà che tenga conto degli interessi di tutti, noi compresi. Quanto mettiamo di vero nel giudicare l’importanza di ciò che accade agli altri senza misurarne l’importanza in proporzione a quanto ci tocca. Quando invece siamo di fronte alle vicende del mondo, dalle angoscia per i conflitti, per i terremoti per la povertà dilagante anche molto vicino a noi, alle difficolta di un conoscente o di un collega di lavoro, con una partecipazione non solo emotiva, non solo di circostanza, non solo di ipocrisia e di carità pelosa ma veramente di profonda partecipazione e fattiva solidarietà disinteressata? Quando siamo di fronte alle incomprensibili dinamiche della politica, alla meschinità di molti politici, alla corruzione, non con una voglia di vendetta o di rivalsa ma con una vera volontà di capire e di agire magari cominciando dal nostro vivere quotidiano e nell’educazione dei nostri figli?  Quanto, in fine, la nostra quotidianità non è intrisa di mal celata costante prevaricazione magari mascherata da un buonismo ipocrita che comincia da quando chiediamo al nostro collega di ufficio notizie sulla sua salute come intercalare e parliamo d’altro prima che ci risponda nascondendo male il nostro totale disinteresse. Tutti i sintomi sempre più evidenti di una epidemia di individualismo segno di una mutazione antropologica della specie. Cosa sarà di noi? Cosa sarà dei nostri ragazzi? Voglio sperare che non si debba toccare il fondo per risalire. Quanto tempo abbiamo ancora per accorgerci di dove stiamo andando e per darci una svolta? Non so ma ogni istante che passa “il tempo si fa breve”.

domenica 11 novembre 2012

A tu per tu con Gaetano Rossi

da: www.reset-italia.net


di Lorenzo Roberto Quaglia

 
Oggi incontriamo Gaetano Rossi, dirigente d’azienda, padre di 4 figli. Gaetano si occupa delle relazioni esterne di ARCA e, come dice lui, cerca di fare l’allenatore ad una squadra under 12 insieme a due studenti che giocano negli Juniores dell’ARCA.
D.: Che cos’è ARCA?
R.: E’ un’associazione sportiva di Milano. Nasce nel 1991 per opera di alcuni genitori, in particolare Gianni Tedone professore di Filosofia, Mimmo Fossali medico primario, Ercole Martina e altri, per la passione per il calcio e una preoccupazione educativa. Per molti anni fino al 2006 è stato un continuo pellegrinaggio per campi di calcio per allenarsi e giocare i campionati. Nel 2006 abbiamo partecipato, con molti sacrifici, alla gara di assegnazione di una parte del Centro Sportivo Colombo. Stiamo in questi mesi mettendo a punto la seconda parte del progetto di adattamento della struttura. Un impegno consistente per una associazione che si autofinanzia. Abbiamo 17 squadre, 15 allenatori, 12 aiuto allenatori 20 – 25 dirigenti accompagnatori, un consiglio direttivo e tanti amici.
D.: Ci racconti brevemente come è nata l’idea di costituire l’ARCA?
R.: L’ARCA nasce in modo semplice a seguito dell’esigenza di alcuni genitori, che volevano fare giocare i propri figli a calcio in un ambiente accogliente, dentro un percorso di educazione con il giusto equilibrio tra competizione e divertimento, senza lo stress della prestazione e dell’eccellenza. Mettendo l’esito, il risultato, come un’ opportunità di misurarsi e non come fine ultimo. Insomma un modo di fare sport con al centro la persona e non la performance. Senza trascurare però la serietà con cui lo si fa, perché è la serietà che da dignità a quello che facciamo anche se siamo volontari. I ragazzi prendono seriamente una cosa se la prendono seriamente gli adulti anche se fanno volontariato. Questa serietà e dignità e proprio la questione dell’educazione. L’altra questione è la possibilità per tutti di starci. Il compito più arduo dei nostri allenatori non è quello di vincere le partite. Ma di fare giocare tutti divertendosi. Questo viene capito dai ragazzi se noi adulti spieghiamo le ragioni, che dobbiamo avere chiare prima noi.
D.: Perché un gruppo di genitori dedica tanta parte del proprio tempo libero per questa associazione?
R.: Vedi, come è ovvio ogni genitore vuole che il proprio figlio faccia dello sport e questo è un fatto. La preoccupazione educativa è un’emergenza che ognuno di noi sente in modo stringente e questa è una grande occasione di risposta dentro un cammino anche di amicizia tra adulti. Vi è poi l’ingrediente fondamentale che è la passione per lo sport in generale e per il calcio in particolare. Qui non c’è un isola felice e come in tutti gli ambiti ci possono essere degli eccessi magari determinati dalla passione ma il punto è che c’è chi si aiuta a correggersi. Ecco sintetizzerei cosi la cosa: ci piace il calcio, abbiamo una preoccupazione educativa per i ragazzi, e per noi, e ci divertiamo.
D.: Il mondo del calcio, quello blasonato di serie A e B non sta attraversando un periodo “fortunato” . Che messaggio trasmettete ai giovani che frequentano la scuola calcio dell’Arca e che si stanno formando sia come giovani persone che come “calciatori”?
R.: Guarda, sul nostro sito abbiamo pubblicato in modo permanente la lettera del vescovo di Livorno ripresa dal presidente nazionale del CSI. Lo abbiamo fatto per richiamare ognuno di noi ad un rischio che corriamo. La competizione non è assolutamente negativa, anzi può essere uno stimolo per fare le cose ma non è il fine ultimo. Lo scenario del mondo dello sport e del calcio è pieno di esperienze diverse, per fortuna. Ci sono società che hanno uno scopo diciamo, selettivo, hanno l’obbiettivo di “allevare” giovani promesse, e lo fanno bene non trascurando alcuni valori essenziali. Compito difficile e stimabilissimo per chi lo sa fare. Noi facciamo un’altra cosa, cerchiamo di mettere in campo la passione e la competenza di alcuni. E’ importante avere chiaro che al di là degli obbiettivi agonistici si deve garantire una adeguata competenza e per questo attraverso alcuni tecnici facciamo sedute di aggiornamento ai diversi allenatori. Anche perché il calcio è anche espressione di una bellezza che va coltivata. Il fatto di farlo per passione non deve andare a discapito della competenza.
D.: Avete venti anni di esperienza alle spalle: come possono le pubbliche istituzioni favorire esperienze come la vostra presenti sul territorio?
R.: Possono e in parte lo fanno, forse non abbastanza, ma comprendiamo che questo non è facile, dare maggior attenzione ad esperienze come la nostra e ve ne sono molte, non necessariamente attraverso il classico contributo economico. In una città come Milano inevitabilmente il livello di collaborazione con le Istituzioni è un po’ burocratico, a differenza dei comuni piccoli dove la società di calcio è spesso una sola e quindi vista come una fondamentale ricchezza da agevolare ed aiutare. Diciamo che è più facile. Ma in una città come Milano si deve almeno tenere conto di tutti i fattori che ci sono in gioco. Ad esempio di come le famiglie fanno fatica e quindi le associazioni sportive non possono chiedere oltre un certo limite e per contro le aziende potenziali sponsor non sono più in grado di dare anche quei piccoli contributi che davano. Insomma una situazione sempre più difficile per chi vive di risorse proprie, che quindi necessita che se ne tenga conto nelle modalità che si ritengono più opportune. Il Comune prima che arrivassimo spendeva oltre 80.000 euro per un centro quasi in disuso, non illuminato e non curato. Ora è illuminato completamente a nostro carico, è mantenuto in modo più che decoroso e versiamo un canone annuo al Comune.
D.: Ho visitato il sito internet dell’associazione, mi ha colpito la voce “Angeli Custodi” dove sono presenti tra gli altri Don Pontiggia e Don Giussani. Cosa centrano questi due sacerdoti con la vostra associazione?
R.: Sono educatori, lo sono stati per alcuni di noi. Affermiamo che la questione educativa è centrale anche qui e da soli non si può, abbiamo bisogno di modelli educativi e nello specifico anche di una intercessione “molto in alto”. Noi tentativamente cerchiamo di seguire un percorso tracciato da alcuni maestri, questo è il metodo anche nello sport.
D.: Personalmente conosco alcuni genitori impegnati nell’associazione con diverse “funzioni” (genitori accompagnatori tuttofare, genitori dirigenti – accompagnatori delle squadre) e mi ha sempre colpito la passione e la cura che mettono in questa attività svolta in modo completamente gratuito ma comunque faticosa e impegnativa. Che origine ha questa passione che si vive nell’associazione?
R.: In parte ho già risposto, aggiungo con insistenza che ha un’ origine educativa che ti porta a rispondere ad un bisogno di molti partendo dalla risposta ad un tuo bisogno e quindi ci metti tutto ciò che puoi, chi più e chi meno, senza misurarlo ma con la stessa dignità. E poi gli adulti lo fanno gratis, anzi a volte ci mettono del loro, ma spesso quello che portano a casa, guardano questi ragazzi come stanno insieme, è forse, anzi senza forse “il centuplo”. Qui ci sono ragazzi grandi che fanno gli aiuto allenatori per le squadre dei più piccoli e poi vanno ad allenarsi con la loro squadra e molti quando smettono di giocare continuano ad allenare i più piccoli. Perché lo fanno? Ecco noi adulti lo facciamo perché guardiamo a loro e loro guardano a noi. E’ una grande responsabilità. Non tanto per non sbagliare, ci mancherebbe, vogliamo imparare dai nostri sbagli. Ecco il calcio insegna anche questo in una partita si fanno tanti errori ma non è che ci si ferma, si cade e ci si rialza, ci si fa male e si guarisce, si fanno i falli che vengono puniti, si vince e si perde, si piange e si esulta cosa è più vicino alla vita di questo?

domenica 28 ottobre 2012

Sicilia: ma quale sorpresa?







Quali erano le previsioni in Sicilia prima delle elezioni? Disfatta del PDL, vittoria Cinque Stelle, tenuta del centro sinistra, rischio ingovernabilità, cosa è accaduto? Disfatta del PDL, vittoria Cinque Stelle, tenuta del centro sinistra, rischio ingovernabilità. Tutto secondo le previsioni, nessuna ma proprio nessuna sorpresa. Ciò nonostante assistiamo alle sorprese di tutti come se quanto è accaduto abbia dell'incredibile. Come poteva andare diversamente dopo che tutti i partiti tradizionali hanno fatto a gara per il Nobel del masochismo? Ormai chiunque ha buon gioco a sparare su partiti già morti o in agonia e, masochisticamente, i politici non perdono occasione di parlare in modo retorico, sconclusionato e ogni volta che lo fanno è un occasione persa per stare zitti. Ogni parola è uno spot per il partito avversario. Limitarsi ad accusare i grillini di populismo significa non guardare la realtà. Una realtà amara, una bomba che è solo innescata e non ancora esplosa. Domandiamoci cosa ci si deve aspettare. Non ci interessa nulla di cosa si devono aspettare i partiti ma cosa ci dobbiamo aspettare da chiunque vincerà. Si può essere disonesti e capaci, onesti e incapaci, disonesti e incapaci o, l'ottimo, onesti e capaci ma quello che si deve fare per afrrontare concretamente la realtà, in ogni caso, è a rischio perché ciò che guida ognuno, e lo abbiamo visto in campagna elettorale, è il pregiudizio ideologico vecchio o nuovo che sia. Anche il pregiudizio di essere onnipotenti, di essere per definizione migliori, il pregiudizio narcisistico e disfattista. Mi viene da dire "se tutto va bene siamo rovinati" ma ho la speranza che ci siano ancora "tanti uomini d buona volontà”, venite fuori! Attenzione, senza fare gli stessi errori, anche qui il rischio è che dalla buona volontà si passi alla cattiva vanità.

domenica 30 settembre 2012

Una "politica" senza popolo

Firenze  - dal popolo le cattedrali
Alla luce delle ultime vicende accadute alla Regione Lazio, ma non solo, la prima e istintiva speranza è che si sia toccato il fondo da cui cominciare a risalire.  Tuttavia pur scandalizzandomi non mi sorprendo. Ciò che è accaduto e sta accadendo è purtroppo una indiretta conseguenza della "svolta del '92",  una svolta che partendo da una legittima esigenza di moralizzazione ha lasciato aperti molti dubbi . Nel 92 una classe politica è stata azzerata o meglio è stata azzerata e sconfitta. Non entro nel merito di quel periodo ma credo che le conseguenze di quanto accaduto  e che a suo tempo si potevano ipotizzare anche senza molto acume e lungimiranza fossero due, la prima:  la nascita di un processo di rinnovamento non moralistico ma sostanziale non buttando via tutto ma partendo dal buono, che a mio avviso c’era e su questo costruire una classe politica nuova favorendo una reale crescita di nuovi talenti politici che partivano da esperienze culturali e sociali virtuose ripetendo ciò che già nel dopo guerra avvenne, in un clima riconciliatorio e di ricostruzione della fiducia nella politica.

La seconda: un azzeramento incondizionato legato esclusivamente al pregiudizio con successiva occupazione degli spazi lasciati vuoti da parte di avventurieri incompetenti e arrivisti non certo mediamente più onesti degli azzerati, usando come unico criterio "nuovo è bello e onesto per definizione e vecchio è brutto e disonesto per definizione”.

Purtroppo abbiamo percorso la seconda strada, più facile che non richiedeva la dote del discernimento. Eccone i frutti.  Si è scelto di fare a meno di parte importante di una classe politica fatta di amministratori di piccoli e medi comuni che facevano della loro passione e competenza politica la ricchezza sociale dei loro territori e contribuivano a fare crescere giovani leve di amministratori appassionati e competenti che andava di pari passo con la crescita culturale ed intellettuale delle nuove generazioni con il vantaggio di offrire modelli di riferimento veramente virtuosi. Io stesso da giovane ventenne consigliere comunale ho avuto la fortuna di avere dei modelli di amministratori di diversa appartenenza politica: democristiani, socialisti, comunisti, liberali ecc... i quali mi hanno insegnato a capire i bisogni e cercare insieme le risposte, a battermi duramente per degli obbiettivi, a fare dure battaglie politiche tra di noi ma poi giudicare la realtà senza pregiudizio, ad essere capace di tornare sui miei passi con dignità riconosciuta all'avversario e dall'avversario politico. Nessun insulto solo politica con la P maiuscola anche se di provincia. Ci mettevamo del nostro anche economicamente senza chiedere nulla, ci bastava sapere che era giusto e le tradizioni culturali e politiche da cui venivamo ci sostenevano. Ho smesso presto perché sono arrivati i "nuovi" e mi sono guardato bene, lì credo di aver sbagliato, dall'essere di intralcio al nuovo che avanzava dirompente pieno di certezze e di promesse. Ovviamente qualche parte politica si è distinta maggiormente in questo carosello misto di ipocrisia e demagogia facile, ma da tutte le parti il fenomeno si è manifestato in buona misura.  Io che ho sempre creduto che la politica fosse veramente un servizio, lo dico con un po' di pudore, quasi imbarazzo alla luce di ciò che sta accadendo, faccio fatica a spiegare ai mie quattro figli che non è giusto rincorrere giudizi demagogici e populisti ma che valga ancora la pena di credere che si può risalire, anche perché abbiamo veramente toccato il fondo, faccio fatica a indicare a loro una strada. Mi viene però un sussulto di orgoglio, quasi voglia di fare appello a quelli che allora ci credevano e hanno smesso per lasciare il posto a quel "nuovo che avanzava"  e si sono messi da parte, un appello a rimettersi in gioco e a dare speranza ai nostri figli. Ma subito dopo mi viene quasi una sorta di rassegnazione e non riesco a trovare la via di uscita,  ma chi oggi è capace di mettere insieme questa gente? Chi può ricostruire un popolo non rassegnato? Chi è il riferimento per questo desiderio di mettersi in gioco senza ambizioni di successo, di notorietà, senza il solo gusto di emergere e di notorietà?

Anche questo è un servizio alla Chiesa.  Il Card. Bagnasco ci ha detto in questi giorni alcune cose su cui lavorare, anche se, spesso, proprio noi cattolici siamo più avvezzi a seguire le sollecitazioni dei populisti di turno piuttosto che prendere in mano ciò che ci viene dalla Chiesa e fare un serio lavoro come laici autonomi che rendono, nel servire la Chiesa un servizio al proprio paese.  Non meno pericoloso in questi ultimi anni è stato l’atteggiamento della grande finanza  che ha favorito l’arricchimento di pochi speculatori rispetto alla crescita dei popoli. Il presidente della CEI ha detto ai Vescovi e quindi al suo popolo:  ”È vero, in questa stagione sembriamo capitati in un vicolo cieco, costretti a subire la supremazia arbitraria della finanza rispetto alla vitalità civile e culturale o, detto in altro modo, rispetto ad un umanesimo sociale che è la cifra della nostra cultura. Per talune componenti di potere, il Vangelo avrebbe addirittura qualche responsabilità per la situazione in cui si è; e non avrebbe comunque più nulla da dire alla società odierna. Il cristianesimo, in realtà, sa – nella vera coscienza di sé – di essere esperienza non di regresso, ma propulsiva, perché capace di proporre modelli di vita in cui l’esasperazione del consumismo e del liberalismo è bandita, in vista di uno sviluppo comunitario più equilibrato e più garantista rispetto alla dignità di ogni persona. Data la gravità dell’ora, la Chiesa – spinta dalla sollecitudine per la Nazione – fa appello alla responsabilità della società nelle sue diverse articolazioni – istituzioni, realtà politica e della finanza, del lavoro e delle sue rappresentanze – perché prevalga il bene generale su qualunque altro interesse. È necessario stringere i ranghi per amore al Paese…..” .

Da qui credo si debba partire, concretamente ma temo che i “se” e i “ma” prevarranno e noi ci chiameremo ancora una volta fuori. Vorrei non fosse cosi per i nostri figli.

domenica 23 settembre 2012

Quale centuplo?

 

Quale tempo attende i nostri figli? Quale destino avranno? Mi capita spesso di sentire commenti tra amici e conoscenti in merito ai modelli di vita che abbiamo di fronte e che rischiano di essere attraenti per i nostri ragazzi. E spesso questa preoccupazione è legata alle notizie che ci vengono ogni giorno offerte dai media. Quest’allarme spesso nasconde un’implacabile resa. Come se ormai il solo “veicolo” attraverso il quale i nostri figli possono assorbire "modelli" fosse solo il peggio che hanno intorno e che gli viene comunicato dai media: questo o quel politico, questo o quel cantante o attore, o magari il presidente del consiglio. Ognuno di noi può cadere nella tentazione di rassegnarsi a non rischiare. A non prendere su di se, quello che i vescovi hanno chiamato “il rischio educativo”. Tuttavia, credo che la responsabilità che mi è chiesta nell'educazione dei miei figli è appunto una “responsabilità” e non un giudizio moralistico. Una responsabilità che implica tutti gli aspetti della vita e quindi anche quello del giudizio politico e morale. A me sinceramente il comportamento del presidente del consiglio, chiunque esso sia dal punto di vista della sua vita personale e famigliare non interessa, di questo deve rendere conto alla sua coscienza e alla sua moralità, forse mi può infastidire ma non è questo il punto. Ciò che mi interessa è quanto mi attendevo e mi attendo, per me genitore e come famiglia. Sono infatti le mancanze di questo governo e di quelli che lo hanno preceduto che formano il mio giudizio critico e quindi anche le mie scelte elettorali. Questo governo non ha fatto nulla per la politica della famiglia, non ha fatto nulla sulla liberà di educazione sia per coloro che hanno scelto per i propri figli la scuola pubblica sia per quelli che hanno scelto la scuola privata. Il livello della polemica politica degli ultimi tempi non ci ha fatto fare un solo passo verso la soluzione dei problemi che devono affrontare le nostre famiglie nel faticoso compito di crescere ed educare i propri. Domandarsi quale sarà il destino dei nostri figli credo sia il punto da cui partire. Non è certo la preoccupazione per la moralità di Berlusconi, di Casini, di Fini, di Vendola, di Bersani e di tutti i nostri politici che risponde in modo reale a questa domanda. Dobbiamo rispondervi partendo dalla nostra moralità, e non da un moralismo inutile, da una moralità per la nostra vita e quella dei nostri figli che mostri quanto noi siamo appassionati al loro destino attraverso le ragioni che diamo loro per le nostre scelte. Non possiamo abdicare alla nostra responsabilità di rischiare con i nostri ragazzi, siano essi allievi o figli, con l'alibi che la battaglia è persa. Dobbiamo partire da noi dalla speranza che siamo come genitori, per il modo in cui stiamo insieme, è questo che ai nostri figli rimane più di ciò che diciamo. Dobbiamo rischiare nel giudizio sulle cose dandone delle ragioni solo così i nostri figli hanno qualche possibilità di comprendere e di desiderare di essere felici. Il desiderio di felicità non può essere soddisfatto da questo o quel modello ma solo da un "cuore" che cerca uno sguardo che esprime un passione per il proprio destino. Questo sguardo grazie a Dio lo di può ancora trovare negli occhi di molti genitori e di molti insegnanti. Non è lo sguardo di chi non sbaglia mai, non è lo sguardo di chi ha tutte le risposte, è uno sguardo che sa rimandare ad un “Altro” da noi, con tutti i limiti che ognuno ha e sconta in ogni istante ma in ogni istante non si fa determinare da essi.


Potrebbero sembrare distanti dalla realtà queste cose ma la mia esperienza quotidiana mi conforta su come questo modo di affrontare la realtà fà si che i quotidiani errori non siano un limite nei rapporti con i mie figli, con mia moglie con miei collaboratori e colleghi. Solo questo mi fa sperare che ai miei figli (ne ho quattro) rimanga il desiderio di un’autentica felicità. Nel vedere quei giovani a Roma nel giorno della beatificazione di Giovanni Paolo II, nel vedere il loro sguardo che aveva la consapevolezza di appartenere a un popolo, questa speranza è diventata più una certezza. La testimonianza di Giovanni Paolo II è per i nostri figli una grande occasione per guardare alla vita come lo guardava lui, slegato dalle cose ma consapevole della realtà con cui ogni giorno dobbiamo fare i conti. Quel "non abbiate paura spalancate le porte a Cristo" che il nuovo Beato ha detto ai giovani è una sfida a tutti noi affinché anche le nostre porte non siano socchiuse dal tempo e dalla "stanchezza" chi più di lui ci ha dato questa testimonianza di immensa apertura? Questo ci fa fare esperienza concreta del centuplo quaggiù.

Chi se ne cura?





Le recenti vicende politiche potrebbero portare allo sgomento chiunque affidi il proprio destino alle capacità di non sbagliare di chi guida le sorti politiche del nostro o di altri paesi.  Lo sgomento derivante dall’evidente impotenza che, di fronte agli eventi di tutti i giorni, i fatti denunciano amaramente che inevitabilmente tutto ciò che si sente oggi, è smentito o superato domani. La politica degli ultimi anno è stata caratterizzata dall’ascesa dei “capopopolo” e dal loro oblio. Tutto è avvenuto e sta avvenendo sulle ondate emotive e reattive che, pur comprensibili in cui versa l’economia del nostro paese, rischiano di aumentare la confusione e allungare i tempi per, se non risolvere, almeno affrontare i problemi. Insomma dalle stelle alle stalle, dal trionfo al linciaggio.
Ecco cosa è l'uomo se basta a se stesso, un prodotto di consumo da sacrificare agli idoli del momento. Sia esso l'uomo leader, cittadino, elettore, consumatore, dipendente, manager, tecnico, povero, ricco... come se l'uomo debba essere pesato da un attributo, da un aggettivo che ne determina il valore così come qualsiasi prodotto di consumo.  C'è di più: a regolare le dinamiche di relazione tra questi “prodotti” vi è una spaventosa logica “cannibalista”, mors tua vita mea. Ciò avviene nel quotidiano, sui luoghi di lavoro, negli uffici pubblici, negli ospedali, tra i carrelli dei supermercati, dove la prevaricazione diventa sempre più frequente dalle cose più banali alle questioni che condizionano la vita degli individui. Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi? (Salmo 8), da questa domanda del salmo, che chiede ragione dell’essenza prima e ultima dell’uomo, mi viene una domanda un po’ drammatica ma non senza speranza, da padre che ogni giorno deve farsi questa domanda guardando i propri figli, dove è, l’uomo e CHI se ne cura?   Chi si cura di ciò per cui è fatto tutto da chi ha fatto tutto. Come guadiamo i nostri figli?  Per cosa li guadiamo? È inevitabile che loro ci guardino per come li guadiamo noi. È ancora sostenibile una convivenza che mette al centro tutto e di tutto tranne l'uomo? Purtroppo la preoccupazione legittima che esprimiamo per i nostri figli sul loro futuro è figlia di un’ipocrisia di fondo. Non siamo preoccupati del loro destino ma del loro futuro come un’emanazione del nostro successo, quindi al centro non mettiamo il loro ma la nostra idea di loro, il nostro appagamento e la nostra gratificazione.
Se i nostri figli ci guardassero (e guardano) per quello che riusciamo ad accumulare o per il successo che rincorriamo e non per quello che siamo, è perché noi stessi ci guardiamo così, ci stimiamo per questo e stimiamo per questo chi ci sta intorno.
Dobbiamo recuperare la ragione per la quale siamo fatti, desiderare che si compia il nostro destino e quello dei nostri figli. Solo così la convivenza, e lo sguardo che abbiamo sul mondo e sulle cose è centrato sulla risposta a quella domanda: Si so CHI se ne cura ma agisco come se non lo sapessi.